C’è ancora speranza per il cinema italiano? Per una sua defintiva rinascita creativa? Piove di Paolo Strippoli è la risposta, è un’altra piccola oncia di speranza dentro un mare di offerte sovente di scarso valore, ripetitive, spente. Presentato ad Alice nella Città all’ultima Festa del Cinema di Roma e al Science + Fiction Festival di Trieste, questo film horror profondo, attualissimo, affascinante, approda finalmente nelle sale italiane. Lo fa purtroppo con la zavorra di un insensato divieto ai minori di 18 anni deciso dalla Commissione per la classificazione delle opere del Ministero della Cultura e poi confermata dalla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo.
La speranza è che questo non comporti perdite tali da danneggiare un film di enorme qualità, un horror di grande concezione e fascino, così come il percorso di un regista che può dare e già ha dato molto in soli due film al nostro cinema.
Una famiglia spezzata dal dolore in una Roma da incubo
Piove ci guida dentro la vita di Thomas Morel (Fabrizio Rongione), padre e marito un tempo felice, la cui esistenza è stata distrutta dalla morte della moglie Cristina (Cristiana Dell’Anna), che nel giro di un anno ha lasciato lui e il figlio Enrico (Francesco Gheghi) preda di una situazione familiare pesantissima e instabile. Sensi di colpa, incomprensioni, rabbia, una tensione fortissima, avvelenano quelle quattro mura, ed il dialogo tra i due è ormai sostanzialmente inesistente, a farne le spese è anche Barbara (Aurora Menenti), la più piccola della famiglia, costretta sulla sedia a rotelle. Intanto però, ecco che in una Roma avvolta da una pioggia oppressiva e oscura, dalle fogne avanza un morbo misterioso, una sorta di nebbia che pare infettare chiunque ne venga a contatto e portarlo ad una follia omicida che in breve tempo diventerà incontrollabile.
Paolo Strippoli ritorna al cinema di genere a tinte forti, dopo quel A Classic Horror Story su Netflix creato assieme a Roberto De Feo, che aveva giustamente attirato su di lui l’attenzione di chiunque cercasse una traccia di creatività e originalità nel desolato panorama nostrano.
Sta tornado il cinema di genere nel nostro paese, lo abbiamo ormai tutti capito, ma non sempre questo recupero avviene con le modalità e soprattutto la giusta caratura artistica come nel bellissimo Freaks Out di Mainetti. Spesso ci si trova di fronte ad opere evitabilissime, basti pensare al triste risultato ottenuto con Rapiniamo il Duce o i due film di Diabolik dei Manetti Bros. Piove invece fa parte di quei prodotti che vorremmo vedere molto più spinti e valorizzati, in virtù di una caratura notevole sostanzialmente in ogni reparto. Si tratta di un film horror che strizza l’occhio ai grandi maestri del genere d’oltreoceano, quelli capaci decenni fa di andare oltre la mera narrazione visiva e di creare degli iter metaforici che ancora oggi influenzano la settima arte.
A Trieste, al Science + Fiction Festival di quest’anno, la giuria nel premiare il film di Strippoli con il Wonderland di Rai4, ha chiamato in causa nomi pesanti come quelli di Romero o Carpenter, ma poi l’elenco potrebbe tranquillamente allungarsi, andare ad annoverare Boyle, nonché il moderno filone orientale sempre più fertile e convincente, con i film per esempio di Yeon Sang-ho e Cho Il-hyung. Soprattutto questi ultimi due possono tornare in mente, visto la finalità ultima di Strippoli di guidarci dentro un viaggio cinematografico chiaramente connesso alla pandemia, agli effetti che esso ha avuto.E per effetti non intendiamo solo quelli sulla nostra psiche personale, ma più in generale sulla nostra società, sui rapporti umani, in un presente in cui il concetto di tolleranza dell’altro è stato sostanzialmente cancellato.
Un film horror che sa andare verso lidi inesplorati
Piove non è in realtà il solo film italiano che abbia cercato recentemente di parlarci della pandemia in modo creativo, accarezzando le corde della creatività che trasfigura la nostra quotidianità in senso metaforico. A Venezia in fin dei conti non è che Siccità di Paolo Virzì avesse finalità diverse, per quanto maggiormente connesso alla commedia, ma qui la questione di come Covid-19 ci abbia profondamente cambiato, ma più in generale di come la nostra società sia dominata in senso assoluto da una rabbia crescente, è affrontato in modo molto più diretto.
La sceneggiatura curata dallo stesso Strippoli assieme a Gustavo Fernandez e Jacopo Del Giudice, ha il grandissimo pregio di coniugare dimensione micro con macro, ma soprattutto non rimane schiava dei pilastri narrativi della classicità dell’horror in modo sterile, ma li usa per creare qualcosa di ibrido.Questo è un film dalla narrazione soprattutto visiva, ma non solo, vive di contrapposizione: luce e buio, alto e basso, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori e naturalmente quella dei personaggi.
La rabbia che Enrico e suo padre Thomas condividono senza freni, che li acceca e li rende incapaci di ricominciare a vivere, è la stessa che in breve si impadronisce degli altri abitanti, di questa Roma a tratti veramente insostenibile, che la fotografia di Cristiano Di Nicola rende forse quasi più simile al mondo del crime. Intanto però non smette mai di piovere, e l’acqua che scende senza mai fermarsi rivendica nell’iter narrativo il duplice significato di rinascita e di sinistro rito satanico, di instabilità spettrale e salvezza. Diviso in atti connessi sempre al ciclo dell’acqua, Piove ha la straordinaria qualità di saper tenere sulle spine allo spettatore, di regalare un’atmosfera di tensione continua, malsana, opprimente, nonché connessa poi visivamente in modo fiero ad un orrore autentico, vero, di quelli che il nostro cinema per molto tempo ha praticamente rinunciato ad offrire al suo pubblico. E dire che una volta eravamo maestri dello spavento d’autore, poi abbiamo perso il treno, abbandonato ogni autentica volontà di misurarci con un genere così amato.
Certo, forse da metà in poi la sceneggiatura scricchiola un po’, o perlomeno smette di essere creativa a 360° come si sperava, forse per prudenza scivola un po’ verso il dejà vu. Tuttavia bisogna riconoscere la genuinità dell’insieme, la coerenza nel cercare di offrire qualcosa di diverso al pubblico. Risulta sicuramente indovinato il modo con cui decide di connettersi anche all’ampio mondo degli zombie movies, strizzando l’occhio soprattutto a quello che Danny Boyle fece a suo tempo con 28 Giorni Dopo, rispetto al quale però gli si può riconoscere una maggiore attualità e grazia estetica. Si perché Piove è soprattutto il racconto di una quotidianità, del nostro presente, in cui la pandemia ci ha resi l’uno nemico dell’altro, incapaci di affrontare qualsiasi questione con il dialogo, ed è un estremizzazione che alla fin fine si è applicata a tutti i campi della nostra vita, andando infine a riversarsi com’era prevedibile anche nella politica.
Un film penalizzato da un divieto assurdo
Tuttavia va anche sottolineato come Piove, soprattutto con il personaggio di Enrico, affronta anche la tematica della difficile situazione della gioventù odierna, ma più in generale diventi quasi un film di formazione, per quanto in senso lato.Molto bello anche come il rapporto conflittuale con il padre, ci guidi verso incontri e svolte alquanto singolari ma per questo molto interessanti, perché diverse anche dal modo in cui sul grande schermo il cinema italiano continua a descrivere in modo molto superficiale la gioventù, in particolare quella delle periferie. Diverso ovviamente il discorso della nostra serialità televisiva recente con una serie di grande qualità come Skam o Prisma, a cui questo film strizza l’occhio, proprio per la profondità e modernità di sguardo. Ma poi è anche singolare che in fin dei conti l’insieme ci ricordi soprattutto il mondo degli ultimi, dei dimenticati, quello dove sovente alla fine la violenza (sia prima che doppio la pandemia) è scoppiata in modo terribile nelle famiglie, tra le quattro mura domestiche, nei modi più feroci e anche impressionanti. Basta dare un’occhiata ai giornali e alla cronaca per rendersene conto.
Ecco allora chePiovesmette di essere semplicemente un film horror, ma diventa un’opera di genere trasversale, soprattutto il simbolo di un malessere generale, un film che sa essere intimo ed assieme carico di uno sguardo di impegno civile e forse anche politico, senza però smettere di essere un horror incredibilmente riuscito, con alcune sequenze di grandissimo impatto.
Il tutto poi suggerisce come l’umanità di oggi, intrappolata anche a causa di una tecnologia sempre più alienante e dominante, non sappia più creare un concetto di collettività, neppure all’interno del mondo degli affetti familiari, ed abbia completamente dimenticato dialogo e capacità di mediazione.Si badi però che il film di Strippoli tutto questo lo affronta ma in modo indiretto, non commette mai l’errore di essere opera moralista o di rivendicare una qualche finalità che sconfini oltre l’intrattenimento che non vuole essere semplicemente fine a se stesso.
La bontà della valutazione finale di Piove, in ultima analisi non fa che aumentare il rammarico per la decisione di vietare la visione di questo film ai minori di 18 anni. Una presa di posizione politica che in fin dei conti conferma quanto il nostro cinema abbia le proprie forze propulsive più giovani e innovative, quelle che possono farlo ripartire, sempre bloccate da una sorta di paternalismo oscurantista fuori tempo massimo. Era successo lo stesso, con motivazioni oggettivamente fuori da ogni logica, pure al non riuscitissimo La Scuola Cattolica, il film sul massacro del Circeo presentato al Venezia l’anno scorso. Lì però si parlò di una sorta di peccato nella rappresentazione dei simboli religiosi. Roba da scompisciarsi. Ora ecco che ancora una volta si interviene a danneggiare il possibile successo di un film, che in qualsiasi altro paese sarebbe stato portato sugli allori. Come se poi il pubblico teen di oggi non possa rimediare da sé su Netflix, su qualsiasi piattaforma, prodotti di genere o anche horror incredibilmente più forti ed estremi di questo. Film che poi spesso non hanno nulla della ricchezza di contenuti e attualità che Strippoli ha saputo creare.
Giulio Zoppello, wired.it (15.11.2022)