Se siete in spiaggia e andate avanti e indietro sul bagnasciuga attaccati al telefono per risolvere un’emergenza in ufficio. Se siete davanti ai tappeti elastici a guardare i vostri figli saltare, concentrati su quello che vi sta dicendo il vostro capo con gli auricolari. Se siete a cena su una terrazza panoramica e state scrivendo compulsivamente su WhatsApp ai vostri collaboratori per una questione urgente successa in vostra assenza. Se siete rimasti a Milano, o in un’altra città, perché non potevate o non volevate prendere le ferie come tutti gli altri. Ecco, allora ha qualcosa da dire pure a voi After Work, il documentario di Erik Gandini che vale la pena recuperare al cinema, approfittando del refrigerio dell’aria condizionata. Il film si apre con una citazione di Aristotele sugli spartani — «Furono stabili durante la guerra, ma caddero dopo aver trionfato, perché non conoscevano una vita di pace» — e con la testimonianza di un impiegato sudcoreano che si alza alle 6 del mattino, alle 7 arriva al lavoro, sta in ufficio fino alle 23, torna a casa a mezzanotte, cena, poi va a dormire e ricomincia il giorno dopo, sempre uguale.
Il lavoro è la sua identità: senza, non sa più chi è. Lo stacanovismo performativo è una dipendenza, come dall’alcol o da sostanze stupefacenti. Il 55 per cento degli americani l’anno scorso ha rinunciato alle ferie pagate: sono andate in fumo, irrecuperabili, 578 milioni di ore. La filosofa statunitense Elizabeth S. Anderson chiama in causa l’etica calvinista — all’origine ci sarebbe l’ansia teologica per la dannazione — e di qui il senso di colpa a prendersi una pausa. Lavorare troppo è sbagliato, per sé stessi anzitutto. Perché noi non siamo il nostro lavoro, anche se il nostro lavoro contribuisce a determinare chi siamo, offrendoci opportunità di crescita, di confronto fertile con gli altri, di guadagno. Ma esiste un tempo che è solo nostro, libero, e non è illimitato. Solo noi possiamo decidere come riempirlo, anche se può volerci molto coraggio a scoprirlo e altrettanta determinazione a difenderlo. In Italia il 30 per cento di giovani sono Neet: non lavorano, non studiano, non fanno formazione. Protetti dal piccolo benessere conquistato dai genitori, forse non credono nemmeno nel modello che hanno avuto sempre davanti agli occhi. Magari hanno saltato per troppo tempo da soli sui tappeti elastici, sotto sguardi distratti. Buone vacanze, allora. Vacanze vere.
Elvira Serra, corriere.it (06/08/2023)