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Al via le riprese di “Monica”, il nuovo film di Andrea Pallaoro

Partono oggi a Cincinnati (Ohio, Usa) le riprese di Monica il terzo film del regista Andrea Pallaoro che torna sul set con una nuova co-produzione internazionale, dopo i pluripremiati Medeas, (in concorso al Festival di Venezia, Orizzonti 2013) e Hannah (vincitore della Coppa Volpi al Festival di Venezia 2017). Dopo Hannah, Monica è il secondo film di una trilogia dedicata alle donne.

Andrea Pallaoro firma anche la sceneggiatura originale, e rinnova il sodalizio con Orlando Tirado già co-sceneggiatore di Medeas e Hannah.

Monica è il ritratto intimo di una donna che, per la prima volta dopo 20 anni, torna a casa nel Midwest per prendersi cura della madre malata. 

Attraverso i temi dell’abbandono, l’invecchiamento, il rifiuto, l’accettazione e il perdono, conosciamo Monica e il suo mondo fatto di dolore, paura ma anche coraggio. Un viaggio attraverso i bisogni e i desideri di una donna che apre uno sguardo conoscitivo sulla condizione umana.

Nel cast le attrici candidate all’Oscar Patricia Clarkson (Station Agent, Schegge di April, Sharp Objects) e Adriana Barraza (Penny Dreadful: City of Angels, Babel, Amores Perros), Trace Lysette (Le ragazze di Wall Street, Transparent), Emily Browning (American Gods, The Affair, Golden Exits) e Joshua Close in arrivo sul set dalle riprese di Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese.Monica è prodotto da Gina Resnick (Tredici variazioni sul tema, Medeas), Christina Dow (Hannah), Eleonora Granata (Medeas) e Andrea Pallaoro, ed è coprodotto da Marina Marzotto e Mattia Oddone per PROPAGANDA ITALIA con RAI CINEMA, Riccardo Di Pasquale, Antonio Adinolfi e Gabriele Oricchio per FENIX ENTERTAINMENT e con Giorgia Lo Savio per ALACRAN PICTURES. Il film è sostenuto dal bando selettivo di coproduzione del Ministero della Cultura.

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Nuovo cinema italiano: a Roma primo ciak per “Piove” di Paolo Strippoli

Roma, lunedì 22 febbraio. Inizio riprese per Piove, il nuovo film di Paolo Strippoli. 

Al via un progetto che punta sui giovani talenti provenienti dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Romae dalla fucina del Premio Solinas: il Film nasce infatti dalla scrittura di Jacopo del Giudice, classe 1991, vincitore con Piove della 32° edizione del Premio Franco Solinas mentre ancora studiava al CSC. La giuria del Solinas lo definì: “Un horror dei sentimenti, senza precedenti nel nostro paese. Una storia estrema come estrema è la follia che racconta”.

Alla regia il ventottenne Paolo Strippoli – ormai prossima l’uscita del suo debutto, A classic horror story, co-diretto con Roberto De Feo – Strippoli stesso è alumnus del CSC e vincitore del Premio Solinas 2019 con la sceneggiatura de L’angelo infelice, scritta con Jacopo Del Giudice e Milo Tissone. 

Terzo e non ultimo giovane talento del Film il Direttore della Fotografia, il trentunenne Cristiano Di Nicola, al suo terzo lungometraggio e già molto apprezzato nel panorama pubblicitario dove ha firmato importanti campagne nazionali.

Tra i protagonisti del cast principale, oltre alla piccola Aurora Menenti, un altro giovanissimo che si sta facendo strada: Francesco Gheghi, classe 2002, già conosciuto per le sue interpretazioni nei film Io sono tempesta di Daniele Luchetti (2018), Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani (2019) e Padrenostro di Claudio Noce (2020).

Il regista Paolo Strippoli dirige la complessa macchina di un film che propone i codici del genere thriller/horror applicati a un dramma familiare, per raccontare una società contemporanea sempre più rancorosa e sotto pressione:

“La Roma di Piove – dichiara Strippoli – è costantemente sul punto di esplodere, e non è troppo distante da quella reale. Basta trovarsi in fila al supermercato o alle poste, nel traffico del Raccordo, in un autobus troppo pieno per sentire la rabbia strisciare tra la gente. È la stessa rabbia che alimenta le declinazioni peggiori della politica di oggi, che dà adito agli sfoghi più beceri sui social network, che ci rende sempre più individualisti”. 

Ad accompagnare questi giovani talenti sposando e rafforzando la visione di un cinema italiano che scalpita per rinnovarsi: l’autore uruguaiano Gustavo Hernandez (La casa muda) che ha collaborato alla sceneggiatura; lo scenografo Nello Giorgetti candidato al David di Donatello 2020 per 5 è il numero perfetto di Igortla costumista Nicoletta Taranta candidata al David di Donatello e ai Nastri d’Argento 2020 per 5 è il numero perfetto di Igort; e due attori protagonisti fuori-classe quali Fabrizio Rongione – attore feticcio dei fratelli Dardenne – e Cristiana Dell’Anna, nota per il suo ruolo nella serie Gomorra e di recente co-protagonista a fianco di Toni Servillo dell’ultimo e attesissimo film di Mario Martone.

Il film è prodotto da Marina Marzotto e Mattia Oddone per Propaganda Italia, produttori con Jean Vigo e Rai Cinema della fortunata trasposizione cinematografica del comic 5 è il numero perfetto di Igort (2019), che con questo film ha debuttato alla regia ottenendo 9 candidature ai David di Donatello e 4 ai Nastri d’Argento e la vittoria in entrambi i casi per Valeria Golino come miglior attrice non protagonista. 

Proseguiamo il nostro cammino credendo nelle storie e nei talenti italiani, cercando un cinema che sia nostro quanto universale e per questo i nostri film nascono dal confronto con i mercati internazionali, la ricerca di linguaggi comuni (il genere), tanto quanto di uno sguardo autoriale che sia unico e distintivo”, dichiara Marina Marzotto.

Il film è una coproduzione internazionale con la belga GapBusters, guidata da Joseph Rouschcop, già coproduttore in Italia di Il Primo Re di Matteo Rovere, Miss Marx di Susanna Nicchiarelli e Freaks Out di Gabriele Mainetti.

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Propaganda Italia investe sul marketing

Propaganda Italia, casa di produzione guidata da Mattia Oddone e Marina Marzotto, prosegue un percorso di crescita e di investimenti che, oltre ai diversi titoli in produzione e sviluppo annunciati in questi giorni al MIA – Mercato Audiovisivo Italiano, includono la creazione di un marketing interno. 

È Giusy Santoro – precedentemente direttore marketing di M2 Pictures e con un passato in Moviemax e Warner – a prenderne le redini.

“Sono davvero entusiasta – ha commentato Giusy Santoro – di entrare a far parte di una realtà come Propaganda Italia, un’azienda dinamica e con grandi progetti per il futuro. Non vedo l’ora di poter mettere in campo la mia esperienza per contribuire in prima linea al raggiungimento degli obiettivi aziendali, supportando la crescita e l’evoluzione di Propaganda Italia verso un nuovo modello di business dove qualità e analisi degli attributi chiave di ogni progetto si intrecciano senza alcuna frizione”. 

Il lavoro della Santoro procederà in sinergia con il team editoriale e di produzione non solo per i progetti già in fase di produzione, ma anche per i film e le serie già in fase di progettazione che necessitano subito di un chiaro posizionamento di mercato”.

In Propaganda Italia –  ha concluso il nuovo direttore marketing – il prodotto, la prima ‘P’ del marketing, gioca un ruolo fondamentale e, nel lungo periodo, l’obiettivo è quello di creare una Brand Identity estremamente forte e riconoscibile”

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Cinema, “La Sorella Maggiore”: ai Wanna Taste It il film di Silvestrini

Propaganda Italia, giovane casa di produzione romana che nel 2019 ha presentato al pubblico nazionale e internazionale il film “5 è il numero perfetto” di Igort con Toni Servillo, Valeria Golino e Carlo Buccirosso, presenta ai Pitch “Wanna Taste IT” del MIA 2020 “La sorella maggiore”, costume-drama  di Ivan Silvestrini (Zero, Dragonheart Vengeance, Monolith).

Sulla scia di un inarrestabil “5 è il numero perfetto”, il noir napoletano del graphic novellist Igort, prima opera del regista, che dopo essere stato selezionato in 31 festival nel mondo, ha ricevuto 9 nomination ai David di Donatello e 4 ai Nastri d’Argento, entrambi archiviati con l’incoronazione di Valeria Golino come migliore attrice non protagonista, Propaganda Italia porta al MIA “La sorella maggiore”.

«Ivan Silvestrini – commenta Marina Marzotto, socio fondatore – è un giovane regista molto interessante che ha approcciato la regia dapprima come “shooter” sul mercato domestico come anche in Spagna e USA, acquisendo un’esperienza tecnica notevole e adattando il suo occhio alle esigenze di generi e stili narrativi diversi. Ora, al terzo film per il cinema, propone un’opera di cui è anche autore e in cui ha trovato una maturità espressiva che ci ha conquistati ed ha garantito al progetto la selezione al competitivo Mercato Internazionale dell’Audiovisivo di Roma (MIA).

ilmessaggero.it (13.10.2020)

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Tutti i successi del produttore imperiese Mattia Oddone, da Peppa Pig a Toni Servillo

Da Peppa Pig, uno dei suoi successi quando alla Rai era Head of International Sales, alla 76ª Mostra del Cinema di Venezia da amministratore delegato di Propaganda Italia: è il percorso, in continua ascesa, dell’imperiese Mattia Oddone, che – lasciata dopo tredici anni la Rai nel 2017 per tentare nuove sfide – al debutto come produttore, insieme con la socia Marina Marzotto, ha fatto centro lo scorso anno con il film «5 è il numero perfetto», diretto da Igort (Igor Tuveri) e interpretato da Toni Servillo, Valeria Golino e Carlo Buccirosso.

Stefano Delfino, lastampa.it (26.06.2020)

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“5 è il numero perfetto”, Valeria Golino vince il David di Donatello per la Migliore Attrice Non Protagonista

Tratto dalla sua graphic novel, pubblicata e acclamata nel 2002. Il film segue le vicende di Peppino Lo Cicero, interpretato da Toni Servillo, guappo e sicario in pensione, che torna in attività dopo l’omicidio del figlio. Il tragico avvenimento innesca una serie di azioni e reazioni violente, ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita.



Curiosità



Rispetto alla graphic novel dal quale è tratto, nel film compare un nuovo personaggio, il Gobbo, una figura apparentemente miserabile alla quale Lo Cicero si rivolge per trovare l’arma perfetta per tornare in pista.



Il film è ambientato negli anni Settanta in una Napoli notturna e deserta, che, come ha dichiarato il regista, è volutamente lontana da quella città livida e frontale descritta in Gomorra. Come ha dichiarato Igort, nome d’arte del regista, l’idea è stata quella di attuare una grande stilizzazione, tanto che anche le sparatorie sono coreografate.






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Marina Marzotto confermata alla presidenza Agici

Martedì 15 ottobre a Roma, l’Assemblea Nazionale dei Soci AGICI ha rinnovato la fiducia a Marina Marzotto (Propaganda Italia) come Presidente AGICI – Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive Indipendenti.

Il Consigli Direttivo che coadiuverà il Presidente Marzotto risulta così composto:

– Nadia Trevisan (Nefertiti Film) Vice Presidente AGICI

– Simone Gandolfo (Macaia Film)

– Marzia dal Fabbro (Sound Art 23)

– Alessandro Riccardi (Vargat Film)

– Giuseppe Squillaci (Galactus Studio)

– Federico Minetti (Effendemfilm)

– Mario D’Andrea (MDL Creations)

Confermato Alessandro Costantini Segretario Generale AGICI.

Sono state inoltre rinnovate le cariche per il Collegio Territoriale:

Federico Massa (Avilab) Referente Area Triveneto AGICI [Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia]

Claudia Di Lascia (Kinedimorae) Referente Area Nord Ovest AGICI [Lombardia, Piemonte, Val D’Aosta e Liguria]

Maria Martinelli (Kamera Film) Referente Area Centro Nord AGICI [Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche]

Fabrizio Nucci (Open Fields Productions) Referente Area Sud Est AGICI [Puglia, Basilicata, Calabria]

Massimo Casula (Zena Film) Referente Area Sud Ovest e Isole AGICI [Campania, Sardegna e Sicilia]

Roberto Borghi, primaonline.it (16.10.2019)

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“5 è il numero perfetto”, così si porta un fumetto al cinema

Da alcuni giorni è in sala il film 5 è il numero perfetto scritto e diretto da Igort (fondatore della casa editrice Coconino e successivamente di Oblomov, direttore editoriale di Linus, fumettista di fama internazionale), basato sul suo omonimo libro del 2002, molto apprezzato alle recenti Giornate degli Autori di Venezia ’76.

Non è facile parlare delle opere realizzate da persone a noi vicine, i rischi sono molteplici: la prossimità rende lo sguardo deformato, inibisce la distanza critica, induce a perdersi nei dettagli, smarrendo il disegno d’insieme. Si può essere troppo entusiasti, per uno spirito partigiano dettato dall’affetto nei confronti dell’autore, oppure troppo severi, poiché la stessa vicinanza umana impedisce di vedere la grandezza dell’opera.

A Igort mi lega un rapporto di profonda stima reciproca, di intesa intellettuale, di affine ricerca spirituale. Questo non vuol dire che siamo sempre d’accordo; al contrario, è proprio il confronto aperto e franco che rende autentica un’amicizia. Dichiaro, dunque, subito la mia mancanza di (peraltro impossibile) oggettività: ho vissuto con emozione l’attesa dell’uscita al cinema di 5 è il numero perfetto.

Emozione, e anche un certo tremore. Questo perché conoscevo la passione e la dedizione, quasi ossessiva, con la quale Igort si era dedicato al progetto (dieci stesure diverse in 13 anni), ma conoscevo anche l’azzardo grave della scommessa che si era prefissato: trasporre al cinema quello che è, probabilmente, il suo fumetto più celebre.

Le percentuali di fiasco inglorioso, confessiamocelo, erano alte. Visto che sono in vena di confessioni, dirò che anche 5 è il numero perfetto non è certo il mio libro preferito di Igort. Pur riconoscendo le qualità elogiate da Antonio D’Orrico sul Corriere della Sera (“Ci sono sparatorie bellissime e sogni labirintici, agguati in notti nere di pioggia e visioni mistiche nel cielo azzurro… Il più bel noir italiano mai scritto”), preferirò sempre la vibrante denuncia civile dei Quaderni Russi o la grazia meditativa dei Quaderni Giapponesi. Questione di sensibilità.

Toni Servillo, presentando il film a Roma, ha definito il fumetto il “Quaderno napoletano” di Igort. Si tratta di una definizione felice: in quest’opera emerge il tipico approccio dell’autore cagliaritano, una sorta di immersione totale nell’atmosfera più sottile di un luogo, a svellerne le “radici genesiache” (direbbe Artaud, scomparso questi giorni), a destarne e a corteggiarne il genius loci.

Napoli è protagonista: teatro onirico di barocche visioni mistiche e di una realtà ben più allucinata. Nella sua mescolanza, quasi da metropoli indiana, di alto e basso, santità e vizio, solennità e sberleffo, spensierata saggezza ed efferato sadismo, Napoli è l’unico scenario pensabile per la parabola paradossale di Peppino Lo Cicero (interpretato da un Servillo quanto mai centrato): eroe nell’abiezione, trionfale nello strazio, grigio impiegato della morte che, nel mondo moralmente a rovescio della malavita, diviene traditore disubbidiente per amore e per sopravvivenza. La stessa condizione del regista è paradossale: un maestro del fumetto, esordiente al cinema, che traspone nel medium in cui è meno esperto la sua opera più apprezzata, dunque diviene potenzialmente il peggior traditore di se stesso. Una sfida non per tutti.

Il film, ovviamente, mantiene e affronta tutti i temi che rendono il fumetto di Igort un’opera di grande intelligenza, a partire dalle contraddizioni che lacerano il protagonista: il tradimento e la vendetta, la coesistenza di dolci sentimenti e spietatezza omicida, il contrasto grottesco tra devozione mariana e abitudine al massacro, un sottotesto di sapienza taoista mascherata in lazzi in vernacolo partenopeo. Solo un ricercatore consapevole e ironico come Igort poteva nascondere in bocca a un anziano killer napoletano che sorseggia un caffè dopo una carneficina una splendida allegoria dal sapore gurdjieffiano (ovvero, il titolo della storia).

La sorpresa è che, nella trasposizione cinematografica di un fumetto, per la prima volta a mia memoria, la forza dell’opera originaria non si diluisce, forse aumenta: la splendida fotografia di Nicolaj Brüel (David di Donatello per Dogman di Matteo Garrone) evoca suggestioni tarkovskijane, i deliranti flashback ricordano le visioni felliniane di Toby Dammitt, il protagonista è un meraviglioso incrocio tra Dick Tracy e Totò. Ma, essendo un autore autenticamente colto e non uno che fa finta di esserlo, Igort non ha bisogno di disseminare la propria opera di allusioni e ammiccamenti: è un film, non è una caccia al tesoro per primi della classe.

Le influenze ci sono, ovviamente, ma assorbite, a volte quasi inconsciamente, senza plagi spacciati per citazioni. Gli attori sono notevoli: Servillo (del quale ormai è quasi noioso dover sottolineare la bravura) trova un ruolo in cui i vezzi di cui spesso lo si accusa (una certa gigioneria, la tendenza al trasformismo) diventano armi in più; Carlo Buccirosso sembra nato apposta per fare questa parte; infine, Igort è riuscito nel miracolo di farmi piacere anche Valeria Golino.

I pedanti professori del genere potrebbero obiettare circa una certa lentezza nel ritmo, soprattutto iniziale, ma non si può relegare 5 è il numero perfetto alla categoria noir: se lo si vede in quell’ottica, è chiaro che non ha i tempi adrenalinici di una macelleria tarantiniana. Ma la bellezza del film è altrove, è un’opera filosofica, una meditazione sulla vanità dell’apparenza mascherata da noir, prova ne sia come, nel momento dell’apice parossistico della vendetta il protagonista si trasformi in un MeursaultLo Straniero camusiano, al contrario. Un film che rimarrà.

Al contrario, delle sciocche polemiche che hanno accompagnato una frase (meno felice di quella citata) di Servillo. Ma, si sa, in Italia ogni giorno c’è un torneo di volpi, riunite attorno ad ogni nuovo grappolo d’uva. Alcuni passano la vita a tirare fango, altri a estrarre diamanti.

Noi, se non altro per gratitudine, siamo dalla parte dei secondi.

Adriano Ercolani, ilfattoquotidiano.it (05.09.2019)

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“5 è il numero perfetto”. Un film attesissimo al dettaglio che si spinge ‘oltre’ la storia e riserva tante gradite sorprese.

Peppino Lo Cicero è un sicario di seconda classe della camorra in pensione, costretto a tornare in azione dopo l’omicidio di suo figlio. Questo avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita.

Gli appassionati di graphic novel di qualità non hanno bisogno di particolari presentazioni di Igort, maestro riconosciuto a livello internazionale.

Coloro che non frequentano questa forma d’arte hanno ora la possibilità di conoscerlo e forse potranno apprezzarne le qualità di regista con quella libertà di valutazione che ci si può consentire quando, nel passaggio da una forma di espressione ad un’altra, non si conosce il modello. Perché questo film nasce dal volume omonimo pubblicato nel 2002. Chi lo ha concepito sulla carta ora lo ha diretto per il grande schermo.

In questi casi il lavoro del casting è più che mai fondamentale perché i personaggi hanno già ricevuto una caratterizzazione sulla pagina che ha lasciato un’impronta ben precisa nell’immaginario di chi ha letto e apprezzato. Sia per loro che per chi giunge iconicamente vergine dinanzi a questa storia va detto che tutti i personaggi hanno trovato l’attore giusto che ha offerto loro carne, sangue e voce. A partire da Toni Servillo che aderisce con grande partecipazione alle azioni e ai pensieri di un uomo che vede la propria attività di killer come un lavoro faticoso che ha una propria (distorta) morale.

Lui, Buccirosso, Golino e tutti gli altri fino ai ruoli minori sanno offrire caratterizzazioni da cinema anni ’70 innervate da uno sguardo, quello di Igort, che sa come andare ‘oltre’ la storia riuscendo a far diventare protagonisti gli spazi e gli edifici in ogni inquadratura.

IGORT APPRODA AL CINEMA CON UN TONI SERVILLO VERSIONE KILLER IN IMPERMEABILE.

Ci ha messo 13 anni e 10 stesure per adattare su grande schermo il suo graphic novel, Igor Tuveri. Il film 5 è il numero perfetto, previsto in uscita per i primi di settembre, è ambientato negli anni Settanta in una Napoli notturna e nebulosa, deserta, volutamente lontana da quella “livida e frontale alla Gomorra“, racconta il regista al Comicon. “La mia idea era di grande stilizzazione: anche le sparatorie del film sono coreografate”. 

Protagonista è Peppino Lo Cicero, interpretato da Toni Servillo, questa volta nei panni di un guappo in pensione costretto dagli eventi a tornare in azione con tanto di impermeabile “che fa il verso direttamente a Bogart di Casablanca”.

C’è da scegliere l’arma giusta, così Peppino si reca dal Gobbo – new entry non presente nel graphic novel – un personaggio apparentemente miserabile capace però di trovargli in poco tempo la pistola perfetta per farlo tornare in pista.

Il regista descrive i suoi protagonisti, dopo aver poco elegantemente sintetizzato la storia così: “Due cavalli che galoppano. La trama non mi interessa affatto”. I due ‘cavalli’ in questione sarebbero in sostanza Peppino Lo Cicero e Toto Macellaro: “Due gangster di periferia, due gregari, due killer del ca**o che andavano a uccidere, ma non sono mai stati e mai saranno due capi. Ecco, questo loro non farcela fa molto Europa, loro non sanno se ce la faranno. Ce n’è uno, Peppino Lo Cicero, che cerca vendetta perché gli hanno ammazzato il figlio, e l’altro che lo deve affiancare perché è il suo vecchio compare di missioni per la Camorra e si ritrova in mezzo”. 

Giancarlo Zappoli, mymovies.it (29.08.2019)

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“La Macchinazione”, perché Pasolini fa ancora paura

Dobbiamo ringraziare gli autori del vile oltraggio vandalico che ha danneggiato la stele commemorativa di Pier Paolo Pasolini, eretta nel luogo dove fu massacrato la notte tra l’1 e il 2 Novembre 1975. Dobbiamo farlo perché, nella loro consueta eleganza, hanno tributato il più alto omaggio al Poeta e Maestro (lui fu questo): dimostrare che 40 anni dopo, fa ancora paura. Il gesto è probabilmente una risposta a La Macchinazione, il film di David Grieco (amico e collaboratore di Pasolini), che ricostruisce, in maniera purtroppo plausibile, la verità di quella tragica notte. Un film da vedere e rivedere, realizzato in tempi brevissimi, con un budget limitato, ma che trabocca passione, rispetto, ricerca della verità.

Certo, i critici snob col dito sempre puntato, potrebbero sottolineare alcuni difetti dell’opera: Massimo Ranieri è tanto impressionante nella somiglianza (come seppe riconoscere lo stesso Pasolini) e impeccabile nella mimesi, quanto straniante nel suo lieve accento napoletano; Matteo Taranto è bravissimo nello sfoderare una vasta gamma espressiva tra l’aspirante gangster e il disperato di periferia, ma il suo romanesco ricorda quello del Rugantino di Celentano; la scena in cui Pasolini ha la visione dell’attuale Matrix contemporanea è maldestra. Tutto vero. Ma consentitemi: chi se ne importa. A differenza del precedente di Abel Ferrara (che mostra una visione laccata e pruriginosa dell’autore friulano), La Macchinazione è una testimonianza straordinaria perché, secondo la lezione di Pasolini, usa il cinema per ricostruire una verità nascosta da 40 anni. Come il suo amico e maestro scrisse in un celebre articolo sul Corriere della Sera (forse, la sua condanna a morte), Grieco sa come è andata quella sera, ma non ha le prove. E nel film (e ancor più nell’omonimo libro pubblicato da Rizzoli), proprio come scrisse Pasolini, svolge il vero ruolo dell’intellettuale che “coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Il film ricostruisce 40 anni di prove evidenti ma ignorate, di testimonianze cruciali ma inascoltate, di evidenti legami mai approfonditi dagli inquirenti. Una mole imponente di indizi seppellita sotto l’epitaffio qualunquista: “Era un frocio che se l’è cercata”. La versione ufficiale, secondo cui Pino Pelosi avrebbe ucciso Pasolini investendolo per sbaglio con la sua macchina dopo averlo picchiato in reazione a un tentato stupro, è semplicemente ridicola. La tesi di Grieco è che quella sera c’erano due macchine e almeno sei persone a uccidere il poeta: Pelosi fu un’esca per un’imboscata. Pasolini sapeva troppo. Complottismo?

Potremmo toglierci il dubbio, documentandoci. Ad esempio, valutando che: la prima sentenza ritenne impossibile che Pelosi avesse fatto tutto da solo; il corpo di Pasolini era martoriato e pieno di sangue ma Pelosi ne aveva solo poche macchiette sulla camicia; nella macchina sono stati ritrovati oggetti che non appartenevano né a Pelosi, né a Pasolini; per passare inavvertitamente sul corpo fu necessario fare una manovra complicatissima (Pelosi non aveva la patente) nella quale si spaccò un palo, ma la macchina di Pasolini era intatta; il terreno era pieno di buche, con copiose tracce di olio (come il corpo di Pasolini), ma anche la coppa dell’olio era intatta; le analisi sul corpo mostrarono che evidentemente gli erano passati addosso apposta più volte; Pasolini stava scrivendo Petrolio in cui denuncia la P2 sei anni prima che venissero scoperte le liste di Gelli, e in in cui descrive la bomba alla stazione di Bologna 5 anni prima dell’effettivo attentato; Sergio Citti fu avvicinato pochi giorni prima da membri della Banda della Magliana per trattare la restituzione delle bobine di Salò; Pelosi ritrattò dopo 30 anni la confessione dicendo che era stato minacciato; numerosi testimoni parlarono di almeno 5 persone che massacravano il poeta; avvocati e consulenti psichiatrici dietro la versione ufficiale erano legati all’estrema destra e alla Banda della Magliana. La lista potrebbe continuare ancora per molto, come nelle 250 pagine del libro. Dettagli, eh. Pasolini non era certo un intellettuale scomodo che aveva dichiarato di sapere chi aveva messo le bombe nelle piazze e stava scrivendo un dossier sui legami tra politica, industria e criminalità legata all’estrema destra. Era solo “uno che se l’è cercata”. La verità.

Adriano Ercolani, ilfattoquotidiano.it (02.04.2016)